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Visualizzazione post con etichetta papà. Mostra tutti i post
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venerdì 1 maggio 2020

Flashback: La chimica dell'arte

Cara Lilli,
come ogni tanto è accaduto in passato, anche oggi voglio fare come in quei film o meglio ancora in quei libri (giacchè qui io scrivo, non faccio riprese!) in cui ci sono dei flashback per far luce sulla vita di un personaggio, sulla sua storia, sulle sue radici. In questo caso sulle mie radici familiari.

Oggi è la Festa del lavoro e mai come quest'anno è arrivata in un momento e in un'atmosfera assolutamente fuori dall'ordinario. Ci troviamo da settimane catapultati in una realtà che oltre che sulla salute sta avendo ripercussioni fortissime sull'economia, sul mondo del lavoro. E l'incognita di come ne verremo fuori è bella grossa.

Ma non sarebbe giusto non onorare il lavoro e i lavoratori tutti, quelli che hanno potuto continuare più o meno normalmente, quelli che hanno dovuto sospendere e che ora stanno per riprendere, quelli che il lavoro lo hanno perso. Soprattutto quelli che il lavoro lo hanno perso, vanno onorati oggi. A loro va rivolto l'augurio più grande, che non siano lasciati soli in balìa degli eventi. 

Lo scrivevo qualche ora fa commentando un post della mia amica Mariella. E proprio leggendo ciò che lei ha raccontato del suo papà, di come ha lavorato indefessamente, con dignità per 41 anni amando ciò che faceva, nonostante le difficoltà incontrate lungo il cammino, ho ripensato al mio di papà.

Mio papà ha avuto uno strano percorso nel mondo del lavoro, ma alla fine ha vissuto la vita che desiderava. Non ha avuto rimpianti nè ripensamenti. E riproporre qui, proprio oggi, un mio post di qualche anno fa, vuole essere un modo per onorare tutti i lavoratori nella giornata a loro dedicata. 

So che è un'utopia che tutti abbiano il lavoro che davvero desiderano, so che a molti il lavoro manca del tutto. Ma questa storia può essere vista come un segno di speranza per chi cerca la propria strada.


<< martedì 15 novembre 2016

La chimica dell'arte

Cara Lilli,

non so se ne hai mai avuto esperienza diretta, ma la vita a volte fa degli strani scherzi. Tipo far convivere in un'unica persona passioni anche molto diverse tra di loro, che devono trovare un giusto equilibrio.

Mio papà, ad esempio, ha studiato al liceo classico, appassionato di libri e letteratura, ma poi ha scelto ingegneria chimica all'università, attirato incredibilmente dal mondo degli esperimenti e delle formule e da ciò che gli ruotava intorno.

Non per questo ha smesso di leggere e di scrivere anche, anzi. Racconti, poesie, novelle, un romanzo. Metteva su carta pensieri ed emozioni, a volte inventava, altre volte riportava aneddoti realmente accaduti.

E amava la musica, tanto. Avrebbe voluto studiare da ragazzino pianoforte, per una serie di motivi anche indipendenti da lui non poté, ma comunque coltivò la passione per la musica in generale e in particolare per quella classica, per il jazz, per la canzone napoletana.

Ad un certo punto si ritrovò con in mano fogli e matite, carboncini neri...schizzi, bozzetti per illustrare anche i suoi racconti. E poi la passione per la pittura dilagò, con dipinti su tela, con tempere, colori ad olio...

E intanto era lì, a fare l'ingegnere chimico in un'industria siderurgica. E a farlo anche bene, giacché gli fu proposto in un futuro non troppo lontano un ruolo dirigenziale in una nuova sede per cui avrebbe dovuto trasferirsi in un'altra regione.

Lui e mamma avevano solo mio fratello a quell'epoca, io non ero ancora nata. Ma me lo immagino benissimo, tutto preso dalle formule chimiche e allo stesso tempo con la mente che pensava al dipinto lasciato incompleto a casa, che lo aspettava sul cavalletto nello stanzino che era intanto diventato una sorta di piccolo studio.

E allora lui scelse: il richiamo dell'arte era troppo forte. Studiò da privatista, mentre ancora lavorava in industria, per prendere il diploma dell'Istituto d'Arte, appunto.

Il passo successivo fu il concorso per l'insegnamento e da lì poi tutto venne da sè...e si ritrovò nel giro di pochi anni, da ingegnere chimico che era, professore di educazione artistica alle scuole medie, passando per l'esperienza anche di professore di Storia dell'Arte in una grande scuola privata di Napoli.

Qualcuno storcerà il naso, una sorta di declassamento forse. Ma non per lui. Lui era felice così, con una vita fatta di orari più regolari, tranquilli, senza maratone in azienda che lo stressavano oltremodo. Orari che gli consentivano di vivere di più in famiglia, dove al figlio maschio si era aggiunta una figlioletta...io.

E poi, che era quello che desiderava con tutto il cuore, poteva trasmettere la sua passione per il disegno anche agli alunni più ricalcitranti, anche a quelli che partivano dall'idea che l'educazione artistica fosse una materia senza importanza. Lui coinvolgeva tutti, con lezioni dinamiche, pratiche e teoriche, progetti, gite, gare.

Nel mio soggiorno, Lilli, ho due bellissimi quadri di mio padre del '63. Un tramonto e una passeggiata in un bosco. Li ho sempre amati, tanto è vero che 10 anni fa li ho scelti con il mio amore per farne le bomboniere del nostro matrimonio: riproduzioni in miniatura su legno, fatte da un ebanista nostro amico. Una cosa che commosse molto papà, anche se, schivo com'era per carattere, abituato a non esternare troppo i suoi sentimenti, non ne fece parola direttamente con me, ma me lo fece capire e anche arrivare tramite altri familiari.

E' stato bello avere un papà artista. A lui devo (complice anche la mia mamma, naturalmente) il mio amore per la musica, per la lettura, per la scrittura, per l'arte in generale. A lui che me l'ha fatta respirare, assaporare fin da quando ero piccolissima.

Oggi, proprio oggi che son trascorsi sette anni da quella drammatica notte dell'addio, mi è venuto di pensare a tutto questo. E mi viene di dirgli ancora e sempre il mio grazie, certa che lui possa sentirmi.>>


giovedì 15 novembre 2018

Il crodino con papà

Cara Lilli,

ci sono abitudini che assumono un'importanza maggiore del gesto in sè per sè, che vanno oltre

Ci sono abitudini che significano essere in sintonia, essere vicini. 

Ci sono abitudini che significano affetto. Grande, genuino.

Come quando la monella nel fine settimana è contenta di godersi di più il suo papà. E la vedi che freme in attesa che arrivi il momento in cui lui si prepara per andare a fare la spesa in grande, quella all'ipermercato in città, e la senti con la sua vocetta sorrident (perchè lei sorride anche con la voce, sì) chiedere in modo retorico:

"Voglio venire con te a fare al spesa?" :-)

E se ne vanno, tutti e due. Papà e figlia.

E poi tornano e lei racconta di come, dopo la spesa, si sono fermati al bar e hanno preso un crodino, che piace tanto ad entrambi. 

Così, con aria di candida complicità. 

Io sono così felice di questo, Lilli! Lo sono perchè so che lei porterà con sè per sempre questi pomeriggi del sabato di routine eppure così speciali col suo papà, come anche le attese nella pizzeria d'asporto di fiducia dove compriamo una volta a settimana pizze e patatine fritte per tutta la famiglia. E dove anche vanno sempre loro due, da soli. Con quelle cose che sono tutte loro: le canzoni da ascoltare in auto nel breve tragitto, il solito tavolino dove sedersi ad aspettare, le caramelle che vengono regalate alla monella dalla signorina che prende le ordinazioni al bancone.

Io non ho ricordi di questo tipo in particolare con mio papà, di gesti e abitudini tutte nostre ripetute a lungo nel tempo.

Ma ne ho altri, comunque. Forti e chiari. 

Lui mi ha iniziato all'ascolto della musica. Di tutta la musica. A cominciare da quella classica (qui), passando per quella jazz, per la canzone d'autore italiana e per quella classica napoletana.

Lui mi ha trasmesso (complice anche mamma) l'amore per la lettura. E per la scrittura.

Lui mi ha insegnato non a parole ma con i fatti come, con quale dignità e compostezza, si affrontano anni di malattia, sofferenze, perdita di autonomia.

Lui mi ha donato il sorriso più tenero e l'espressione più gioiosa di tutte le altre, anche di quella di mia madre, seduto sulla sedia a rotelle, con le braccia alzate al cielo in due occasioni: quando sono andata a salutarlo di ritorno dalla luna di miele e quando ha saputo dalla mia viva voce che aspettavo la monella.

Lui mi ha donato anche l'espressione più silenziosa e dolorosa e profondamente sconvolgente, l'ultima rivolta ad un suo familiare, la sera prima della notte dell'addio. Anche quello è stato un dono, per me. Come se il destino avesse voluto che io fossi l'ultima a guardarlo negli occhi, mentre era in quel letto d'ospedale,  e a dirgli "Ci vediamo domani, papà!".

Oggi sono 9 anni che lui se n'è andato. 

Ma lui c'è. Ecco tutto.


mercoledì 31 ottobre 2018

Trapunte

Cara Lilli,

immagina la scena: poco fa in cameretta, io e la monella...

"Mamma, questa è la tua trapunta vero? Quella di quando eri ragazza e stavi a casa con nonno e nonna".

"Sì, è proprio quella. Lo sai, no? Non è mica il primo anno che la mettiamo sul tuo letto!"

"E' bella".

"E' bello soprattutto che ora sia tu a dormire al calduccio con lei, proprio come ci dormivo io anni fa!" 

Perchè io amo queste cose. Amo che ciò che è stato parte della mia vita ora sia parte della vita di mia figlia, così come quello che è stato parte della vita dei miei genitori sia parte della mia, come il copriletto trapuntato che uso sul lettone mio e del mio amore.

Sono solo oggetti, è vero. Questi qui come altri che conservo. Ma rappresentano qualcosa di importante, ben al di là del loro valore materiale: sono il segno tangibile della continuità, del calore, dell'amore familiare che passa da una generazione ad un'altra.

Mi mancano, mamma e papà. Mi mancano sempre, anche se col tempo, con gli anni il dolore del distacco ha assunto sfumature diverse che non so spiegare a parole, che si fondono tra loro nella vita quotidiana e si intrecciano a tutto ciò che faccio e che dico e che penso.

Vorrei che un domani, quando non ci saremo più, i monelli pensassero a me e mio marito come io penso ai miei genitori, sentendoci presenti e riconoscendoci lì dove nessun altro ci vedrebbe mai. 

mercoledì 11 aprile 2018

Una panchina di Via Caracciolo

Cara Lilli,

stamattina aprendo gli occhi il mio pensiero è subito volato verso la persona che più vorrei fosse presente in questo momento difficile che la mia famiglia in senso ampio (cugini, zii, nipoti) sta vivendo dal giorno della domenica delle Palme. 

Se la mia mamma fosse qui sono certa che sarebbe come sempre un punto di riferimento non solo per me e mio fratello, suoi figli, ma per tutti.

Lei aveva il dono di saper accogliere, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente; di saper ascoltare, comprendere, consolare, redarguire anche se occorreva, ma poi sempre spronare e sostenere.

Questo senza nulla togliere al fatto che avesse i suoi difetti, come ognuno li ha. E che ha commesso i suoi errori, naturalmente. Ma ha vissuto in modo pieno, generoso, proiettata verso gli altri: è stata figlia, sorella, mamma, zia, amica, insegnante. 

Ma è stata innanzitutto una donna. Una donna che ha avuto la fortuna di trovare un uomo che l'ha amata profondamente e che lei ha a sua volta amato allo stesso modo.

Una storia un pò complessa e lunga la loro: con mio padre si sono conosciuti al liceo, ma è solo dopo anni di bellissima amicizia, vicissitudini varie che li hanno visti lontani, fidanzati con altre persone e intanto confidenti l'uno dell'altra, poi liberi da legàmi e di nuovo vicini ancora per un pò come amici, che sono arrivati a scegliere di costruire una vita insieme. Hanno sfiorato di poco le nozze d'oro, poi. Ma sono certa che le avranno festeggiate in Cielo.

La dichiarazione d'amore del mio papà, nel lontano 16 febbraio del 1959, è una delle più belle e particolari che io abbia mai sentito ed è impressa in un racconto che lui stesso scrisse e che in verità già in passato ho riportato, Lilli, ma che desidero riproporre anche quest'oggi, che sono giusto 7 anni da quando mamma è venuta a mancare, 17 mesi dopo papà.

Spero possa far emozionare chi vorrà soffermarsi un momento a leggerlo, così  come ogni volta fa emozionare me...

<< Proposi una passeggiata a via Caracciolo; era inondata di sole, sembrava che cantasse. Ai bordi della villa una delle panchine aspettava noi. Ci sedemmo.

Di cosa avessimo parlato fino ad allora non lo so. Non mi ero fatto nessun piano particolare, anzi ero disteso e tranquillo perché sapevo che glielo avrei detto e basta, anche se avessimo conversato di astronautica.  Non era quello il problema. Semmai, bisognava dirlo in modo che non turbasse l’incanto, questo si, ma senza sdolcinature, nella maniera più naturale. Quale? Non lo sapevo e non mi interessava saperlo. Arrivato il momento le parole mi sarebbero venute acconcie e semplici, ne ero convinto.

Neanche ricordo, infatti, come fu che prendemmo a parlare del futuro, se fu lei o fui io ad iniziare. Evidentemente fummo tutti e due, perché era arrivato il tempo (per lei inconscio e per me atteso) di comprenderci l’un l’altro.

Cercava di intravedere nel suo avvenire, analizzava le esperienze passate facendo previsioni per il futuro, guardandosi dentro e confrontandosi col mondo e la sua realtà. 

Diceva: “Mi sento di dover vivere intensamente, ma non solo per me. Il passato mi mostra, però, che non troverò facilmente la giusta collocazione. Forse potrei realizzarmi come moglie ma forse potrei farlo mettendomi al servizio degli altri. Sai, esistono forme di vocazione laica che ti permettono di dedicarti al prossimo nel tuo stato, nella tua professione, restando nel mondo, soffrendo nel mondo, ma vivendo per il prossimo. A volte mi chiedo se per caso non sia questa la mia strada. Non lo so. Ho grande incertezza in me e non vedo chiaro nel mio futuro. Tante energie da profondere ma non so ancora in quale direzione potrò e dovrò esplicarle. Ho davanti due vie: il matrimonio e l’altra. Ma sono ancora ambedue buie. Bisognerà vedere quale di esse si illuminerà. Perciò adesso non so se mai mi sposerò.”

Fu allora che mi si concretizzò l’attimo atteso da tanto tempo, senza che l’avessi programmato; perciò mi affiorò con tono naturale e quasi distaccato (come una certezza ovvia) la frase che mi era partita dal cuore tumultuante: 

“Io invece ho deciso di sposarmi e di sposare te.”

Un attimo dopo mi sentii placato anche dentro, mentre vedevo sul viso di lei passare prima una rapida contrazione di sorpresa poi il rossore che accompagnò un’espressione di affetto e di dolore, come chi ha ricevuto un colpo senza preavviso, senza alcuna possibilità di attutirlo. Non seppe e non potè parlare. Mi guardava scossa ma non ferita, lusingata ma addolorata, come cercando aiuto per reagire in qualche modo alla situazione.

Bellissimo era il sole che risplendeva sul mare e bellissimo era il volto di lei, sconvolto dall’emozione…>>