Cara Lilli,
ci sono abitudini che assumono un'importanza maggiore del gesto in sè per sè, che vanno oltre.
Ci sono abitudini che significano essere in sintonia, essere vicini.
Ci sono abitudini che significano affetto. Grande, genuino.
Come quando la monella nel fine settimana è contenta di godersi di più il suo papà. E la vedi che freme in attesa che arrivi il momento in cui lui si prepara per andare a fare la spesa in grande, quella all'ipermercato in città, e la senti con la sua vocetta sorrident (perchè lei sorride anche con la voce, sì) chiedere in modo retorico:
"Voglio venire con te a fare al spesa?" :-)
E se ne vanno, tutti e due. Papà e figlia.
E poi tornano e lei racconta di come, dopo la spesa, si sono fermati al bar e hanno preso un crodino, che piace tanto ad entrambi.
Così, con aria di candida complicità.
Io sono così felice di questo, Lilli! Lo sono perchè so che lei porterà con sè per sempre questi pomeriggi del sabato di routine eppure così speciali col suo papà, come anche le attese nella pizzeria d'asporto di fiducia dove compriamo una volta a settimana pizze e patatine fritte per tutta la famiglia. E dove anche vanno sempre loro due, da soli. Con quelle cose che sono tutte loro: le canzoni da ascoltare in auto nel breve tragitto, il solito tavolino dove sedersi ad aspettare, le caramelle che vengono regalate alla monella dalla signorina che prende le ordinazioni al bancone.
Io non ho ricordi di questo tipo in particolare con mio papà, di gesti e abitudini tutte nostre ripetute a lungo nel tempo.
Ma ne ho altri, comunque. Forti e chiari.
Lui mi ha iniziato all'ascolto della musica. Di tutta la musica. A cominciare da quella classica (qui), passando per quella jazz, per la canzone d'autore italiana e per quella classica napoletana.
Lui mi ha trasmesso (complice anche mamma) l'amore per la lettura. E per la scrittura.
Lui mi ha insegnato non a parole ma con i fatti come, con quale dignità e compostezza, si affrontano anni di malattia, sofferenze, perdita di autonomia.
Lui mi ha donato il sorriso più tenero e l'espressione più gioiosa di tutte le altre, anche di quella di mia madre, seduto sulla sedia a rotelle, con le braccia alzate al cielo in due occasioni: quando sono andata a salutarlo di ritorno dalla luna di miele e quando ha saputo dalla mia viva voce che aspettavo la monella.
Lui mi ha donato anche l'espressione più silenziosa e dolorosa e profondamente sconvolgente, l'ultima rivolta ad un suo familiare, la sera prima della notte dell'addio. Anche quello è stato un dono, per me. Come se il destino avesse voluto che io fossi l'ultima a guardarlo negli occhi, mentre era in quel letto d'ospedale, e a dirgli "Ci vediamo domani, papà!".
Oggi sono 9 anni che lui se n'è andato.
Ma lui c'è. Ecco tutto.