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sabato 19 ottobre 2019

Visto, finito e visto daccapo.

Cara Lilli,

oggi stavo ripensando a vari film che sarei felice di rivedere. Si tratta di pellicole che mi sono piaciute ma che non vedo da parecchio tempo.

Io sono solita riguardare di tanto in tanto i film che amo, il che non è poi una cosa strana perchè lo facciamo un po' tutti, no? E' come ritrovare vecchi amici, sentirsi a casa. Perchè anche un film può essere "casa" e te ne ho scritto un po' di anni fa, ricordi?

E pensa che ti ripensa, ho realizzato che ci sono film che ho visto tante, anche tantissime volte, ma che ce n'è uno solo, uno solo in vita mia che ho visto due volte di seguito.

Nel senso che è iniziato, l'ho guardato tutto fino alla fine e, nel giro di pochi minuti, l'ho rimesso daccapo e l'ho rivisto tutto quanto. 

Questo film è FUGA PER LA VITTORIA di John Houston, datato 1981.

Era una sera dell'inverno del 1987 (ricordo con precisione l'anno perchè è stato allora che papà comprò il primo videoregistratore e quello era uno dei  primi film che registravamo), io avevo 13 anni e mezzo. Mio fratello doveva uscire con degli amici e mi lasciò l'incarico di registragli questo film che davano in TV. 

Non lo avevamo mai visto, nè io nè lui. 

Lo trasmettevano su una rete commerciale, per cui era inframezzato da parecchi intervalli pubblicitari. Lo guardai tutto, dal primo all'ultimo minuto, per poter staccare e riattaccare la registrazione al momento delle pubblicità.

Mi piacque. Anzi, di più. Mi appassionò. Complice anche il fatto che io stavo in quel periodo scoprendo in me un amore sviscerato per il calcio [e per un allora giovanissimo Paolo Maldini.... ma questa è un'altra storia ;) ], fui così presa da quella storia che, quando mio fratello rientrò che era appena finito il film, lo convinsi a vederlo quella sera stessa, pur se era ormai molto tardi. E io lo rividi con lui, daccapo, fino al termine.

Quella notte dormii un paio di ore in meno, ma non me ne pentii affatto :)

Non è un capolavoro, ne sono consapevole. Forse è anche un po' retorico e sfrutta dei luoghi comuni, come ha scritto il critico Morandini, citato sul sito Mymovies. Ma un film può avere tanti motivi per entrare nel cuore e per restarci. Al di là dell'essere o meno un capolavoro, appunto.

Per chi non sapesse di cosa sto parlando...


 “Seconda guerra mondiale. In un campo di prigionia tedesco, un gruppo di detenuti allenati da John Colby, famoso giocatore della nazionale inglese, viene sfidato da un ufficiale delle truppe naziste, il Maggiore Karl Von Steiner, a giocare una partita di calcio fra prigionieri alleati e soldati tedeschi. L'idea di una sfida sportiva fra fronti in guerra piace molto ai gerarchi nazisti, che decidono di far giocare la partita in un importante stadio della Parigi occupata e di renderla un grande evento di propaganda. Quando gli uomini interni al campo che lavorano segretamente con le forze della Resistenza francese vengono a sapere dell'evento, iniziano a pianificare, con l'aiuto della rude spia canadese Robert Hatch, un grande piano di fuga.” (fonte www.mymovies.it)


Sylvester Stallone, che pure io non amo solitamente come attore, Michael Cane e Max Von Sydow, con l'apporto del grande Pelè e di altri calciatori professionisti mi hanno fatto amare questa storia. Mi hanno fatto emozionare, come se alla fine ci fossi stata anche io lì, in campo a Parigi, a giocare quella che non è una partita di calcio ma una sfida per la libertà.

E ancora oggi, nel rivedere le immagini del finale, mi riscopro sulle spine, partecipe, fiera di essere dalla parte degli Alleati...




ALLERTA SPOILER!!!

Quando il portiere della squadra degli Alleati para il rigore (fasullo) che avrebbe dato al vittoria ai tedeschi io esulto immancabilmente come se vedessi la scena per la prima volta! 

Perchè quello che sulla carta è solo un pareggio, è stato ottenuto lottando in campo con le unghie e con i denti ed è in realtà più di una vittoria. 

Perchè i giocatori Alleati avrebbero potuto fuggire nell'intervallo tra il primo e il secondo tempo e non lo hanno fatto, perchè hanno capito che non solo per loro stessi, ma per le migliaia di spettatori nello stadio e per tutto il popolo oppresso dall'occupazione nazista era una rivincita psicologica troppo importante.

Perchè hanno avuto il coraggio di non scappare...




E quel cancello dello stadio che si spalanca sotto la spinta della folla degli spettatori, che nascondono tra loro i giocatori Alleati e li coprono con cappotti e cappelli per mascherarli e farli fuggire, è un'immagine bellissima, accompagnata da una colonna sonora trascinante.

Uno dei finali preferiti in assoluto, tra i film che amo.
 




PS: il film è liberamente ispirato a una storia vera, quella della cosiddetta partita della morte

mercoledì 9 ottobre 2019

Calipso

Cara Lilli,

non sai quante volte in questi mesi passati ho immaginato di mettermi al pc e scriverti. Poi però mi mancava qualcosa, non avevo la giusta ispirazione. Mi mancava in qualche modo quello spirito che ha animato i miei tanti anni di blogging (più di 9, ormai).

Eppure di cose da raccontarti ne avrei avute, eccome.

Avrei potuto dirti della gioia e della commozione più pura nel vedere il monello allo spettacolo di fine anno scolastico prendere il microfono e, nel suo modo non del tutto chiaro ma comunque comprensibile, cantare il ritornello di "Ci vuole un fiore", mentre tutti gli altri alunni cantavano in coro alle sue spalle, e poi subito scappare via saltellando felice e tuffandosi nelle braccia della sua maestra :)

O dell'emozione di assistere ad un simpaticissimo musical, un adattamento in dialetto napoletano ispirato a "Tutti insieme appassionatamente", a conclusione del progetto scolastico di teatro durato 5 mesi. Emozione a dir poco sorprendente. Perchè tra le comparse c'era la monella. Vestita da baronessa, abito elegante color crema con gonna vaporosa, con tanto di ventaglio, cappellino e collana di perle al collo. Una donnina che con voce ferma e chiara, pur se col viso un po' nascosto dal ventaglio, ha recitato anche una battuta. E ha partecipato alla coreografia finale e poi ai saluti tutti insieme sul palco, con una musica in sottofondo che accompagnava il tutto, in un crescendo di gioia mista a quella sottile tristezza tipica di quando finisce una festa o comunque un evento tanto atteso e immaginato per mesi.

I miei monelli. Lì, sul palco del centro sociale l'uno e di un piccolo teatro l'altra, tra tutti gli altri loro coetanei, a testimoniare che si può cercare di andare oltre i limiti di un disturbo che ha tante sfaccettature e sfumature diverse. 
Perchè si possono avere delle belle sorprese lungo un percorso che, va detto, di per sè non è nè facile nè lineare. Proprio no. L'importante è non partire prevenuti, non dare nulla per scontato. E, se si è fortunati (e noi in questo lo siamo), trovare le persone giuste sul proprio cammino, che sono pronte a fare di tutto per sostenere chi ha bisogno di un aiuto e una spinta in più. Maestre, professori, terapiste, compagni di scuola.

Avrei potuto dirti, poi, di una vacanza al mare diversa dal solito. Nuova. Ma anche già conosciuta. Cioè: nuova sì, ma non per me. Nuova per i miei monelli. Nuova per me, mio marito e i monelli insieme.  

, dove per anni e anni, dall'adolescenza alla giovinezza, il mio cuore aspettava con ansia e gioia di tornare ogni agosto. dove avevo già portato con me il mio amore mentre eravamo ancora fidanzati, l'ultima volta nel 2003.

dove avevo già un ricordo in ogni angolo. E dove quest'anno ho potuto creare ricordi nuovi, diversi, particolari, bellissimi perchè condivisi con le tre persone più importanti della mia vita.

Mi è bastato affacciarmi dal balconcino del piccolo, accogliente hotel che ci ha ospitato sul lungomare di San Benedetto del Tronto... ed è stato subito casa, come se fosse passato solo un giorno e non 16 anni...



SAN BENEDETTO DEL TRONTO - foto privata

Perchè ci sono luoghi che senti tuoi più di altri e niente potrà cambiare questa certezza. 

Quando ripenso adesso a quella settimana di inizio agosto trascorsa, le immagini scorrono come scatti fotografici...


SPIAGGIA - foto privata

IL FARO - foto privata


LUNGOMARE - foto privata

... e in sottofondo, nella mia mente, c'è una canzone a fare da colonna sonora. Una sola, sempre la stessa. Che non è del mio genere preferito. Che non è dei miei cantanti preferiti. Anzi. Ma che è quella che il monello ci chiedeva di ascoltare ogni giorno, più volte al giorno, specie in spiaggia. 

Tutto è relativo. Io l'ho sempre sostenuto. E così anche una canzone che in altre circostanze non avrei amato, ora è tanto cara al mio cuore e mi strappa un sorriso nostalgico appena ne sento anche solo una nota... :)




E ce ne sono di cose da dirti ancora, Lilli.

Abbi solo un po' di pazienza.